Tornato in Italia da pochi giorni in moltissimi mi hanno chiesto informazioni riguardanti l’appena conclusa spedizione nepalese e su come sia andata.
Come è andata? Bella domanda…diciamo bene, ma le parole non sono niente per descrivere 24 giorni passati in Nepal, 24 giorni di spedizione, di fatica e di impegno per portare avanti un grande progetto.
Inizialmente avevo pensato di scrivere un vero e proprio diario di viaggio , ma scriverlo ora avrebbe poco senso e rischierei di tediare i lettori con informazioni superflue, quindi mi limiterò a fare il sunto del sunto cercando di raccontare solo i tratti salienti della spedizione.
Sono arrivato in compagnia di Jari in Nepal il giorno 3 febbraio e dopo ave raccattato i nostri bagagli ci rechiamo al punto di randevu, un hotel che definirei essenziale e molto economico, dove quasi tutti i membri della spedizione ci stavano aspettando.
Il giorno seguente recuperiamo, non con poca fatica, il materiale arrivato con il cargo e ci prepariamo per il trasferimento verso la nostra meta!
Il giorno seguente siamo pronti per il trasferimento a quello che definirei il Campo Base, Jagat. Un villaggio di una ventina di case arroccato Sull’Anapurna Trail, trekking che consente di girare attorno a uno degli 8 8000mt che si trovano in Nepal.
Il viaggio è lungo, tortuoso e direi abbastanza scomodo, circa 5 ore di pullman seguite da 3 ore di jeep su strada sterrata molto accidentata, fino alla meta che, dopo una giornatina del genere, ci appare come un miraggio!
L’hotel Nord Face ci accoglie colorato e simpatico un mix architettonico interessante, le camere sono molto spartane senza neanche lo spazio dove stipare tutto il nostro materiale personale.
Il giorno seguente lo dedichiamo ad aprire i bagagli e gli zaini arrivati con il cargo per fare un controllo e per assicurarci che tutto il necessario ci sia e che tutto sia funzionante ed in ordine. Sfortunatamente ci accorgiamo che uno dei sacchi è stato aperto, mancano all’appello: alcuni ancoraggi, alcune confezioni di cibo liofilizzato e 2 radio.
Nei giorni seguenti per sgranchire le gambe e per acclimatarci un po’ all’aria Nepalese decidiamo di percorrere 3 forre che si trovano nelle vicinanze del campo base.
Iniziamo con il Sianghe, forra da me già percorsa nel 2011 durante il RIC, dove la verticalità è preponderante sia sul sentiero di avvicinamento, tutto a scale, che durante la discesa, questa forra si distingue grazie alle sue due grandi verticali: 110 e 90 mt che alzano l’astina di un percorso abbastanza aperto e non troppo tecnico.
Il giorno seguente lo impegniamo con la discesa del Riandu, forra decisamente meno tecnica, con una portata inferiore a quella della Sianghe, ma decisamente più incassata con scorci paesaggistici interessanti.
Dopo un giorno di riposo decidiamo di andare a scendere il Jaghat parte bassa. Dopo un primo tentativo andato a buca, a causa della errata valutazione del materiale necessario ad armare una forra da 7 ore di percorrenza (è stato deciso di portare solo 15 ancoraggi….). Questa “defiance” ci ha suggerito di rivedere le assegnazioni dei compiti all’interno del team e far approntare i materiali a qualcuno con più esperienza in merito.
Il giorno seguente ci riproviamo e riusciamo finalmente ad entrare! Incontriamo la prima vera forra! Un bel percorso incassato, acquatico e tecnico, una bella palestra in vista di quello che dovremo andare ad affrontare. Il Jaghat Khola è proprio un bel torrente con passaggi meravigliosi purtroppo intramezzati da 2 zone di frana che rompono la continuità della forra. Durante questo percorso si possono incontrare alcuni passaggi degni di nota come la bellissima cascata da 90 mt che convoglia tutto il flusso in un mezzo toboga di 10 mt dove si viene, se non si è attenti, investiti dalla potenza dell’acqua. Altro passaggio degno di essere citato è la sequenza posta quasi alla fine del torrente 25 + 5 + 25 mt con 2 pozze pensili veramente intense e a tratti abbastanza tecniche.
Ok siamo pronti per la grande avventura ci diciamo sottovoce, ma il meteo cambia e dal bel sereno dei primi giorni passa ad un variabile che non porta pioggia , ma che maschera le vette che ci circondano e che noi teniamo d’occhio perché sono alla stessa altezza del traverso esposto a 4200mt, passaggio obbligatorio per entrare in Chamje Khola. Rimaniamo in standby per alcuni giorni in attesa della finestra giusta di bel tempo che ci consenta di passare il col di Tallera a 4250 mt di altitudine.
Il giorno giusto è il 16 febbraio e di conseguenza si decide di andare, carichiamo tutta la nostra attrezzature sulle jeep e con esse ci trasferiamo al piccolo villaggio di Tal ( 45 minuti ) dove, dopo aver incontrato il gruppo di 14 portatori, che ci aiuteranno a portare a monte tutto il necessario per la discesa, e una buona colazione si parte! Obbiettivo del giorno campo 1 a 3050 mt ( circa 1300 mt di dislivello attivo), impieghiamo circa 4 ore per raggiungerlo.
Il giorno seguente ci aspettano altri 1200 mt di dislivello attivo e 800 di discesa per raggiungere campo 2 che poi è anche la partenza della parte torrentistica del nostro lungo viaggio. Faccio però volentieri un passo indietro e spendo due parole sul trek. Personalmente non ero mai stato 4250 mt di altezza partendo con le mie gambe da 1600 mt, si sono andato sul bianco in funivia , ma non è decisamente la stessa cosa!!! Dico la verità che fino a 3600 mt non ho patito un granché, ma dopo la mancanza di ossigeno, per uno che è abituato a vivere a 180 mt slm sulle sponde del lago di Como, si è fatta sentire! Nulla di drammatico fiato corto e decisamente più pause del solito, non sto dicendo che sono arrivato su strisciando, dico solo che l’ultima rampa le mie gambe l’hanno patita abbastanza!
Abbiamo avuto la fortuna di trovare praticamente neve zero sul col Di Tallera e questo ci ha agevolato non poco! Il famigerato traverso in realtà è una strettissima traccia che numerosi saliscendi attraversa il fianco della montagna, il pendio sottostante è quasi verticale e reputo molto difficile se non impossibile fermare la caduta in caso di passo falso, l’attenzione in quel tratto deve essere massima e gli occhi fissi su dove si sta per mettere i piedi. Noi abbiamo attraversato questa parte di avvicinamento avvolti nelle nuvole e quindi abbiamo potuto godere solo a brevissimi tratti del fantasmagorico paesaggio che si più godere da lassù. In ambienti del genere ci si sente piccoli piccoli, si ha la concezione di trovarsi ad oltre 4000 mt ma le montagne che ti circondano (Manasli e Anapurna) si innalzano per altri 4000 mt di quota e quindi pensi….ma caspita….
Arriviamo a campo 2 intorno alle 16,30, un buon orario per montare il campo, peccato che pochi istanti dopo essere arrivati inizi a nevicare…. montiamo le tende in fretta e furia, in meno di un ora tutto il campo è preparato fuoco compreso.
Il giorno seguente, nonostante la sveglia di buon’ora, il primo gruppo non riesce a partire prima delle ore 11, durante la notte sono caduti 10 cm di neve e questo ha destabilizzato un po’ i buoni propositi di una partenza rapida.
Il primo gruppo è composto dal sottoscritto e da Roberto Nardoni, il nostro compito è quello di installare gli ancoraggi e di posizionare le corde sui primi salti così da agevolare il passaggio del resto del gruppo. Man mano che procediamo veniamo riforniti di nuove corde dai componenti del gruppo che ci seguono in una sorta di processione dove chi sta avanti si occupa di installare le corde, oltre che gli armi ovviamente, e chi è in coda si occupa di recuperarle ed insaccarle per poi farle pervenire alla “ testa” di questo lungo bruco immaginario.
Questa tecnica che non mi ha mai convito moltissimo, ma che considerando le forze e le esperienze dei componenti è stata la scelta migliore se non l’unica possibile per una progressione veloce e sicura.
Il primo tratto di torrente si presenta in ambiente aperto e boschivo, poco verticale e molto discontinuo con numerosi e lunghi tratti di marcia che hanno allungato molto il gruppo che è stato molto lento e complice la partenza decisamente non all’alba ha costretto una sosta per la notte in zona del torrente molto lontana da quello che sarebbe voluto essere il nostro obbiettivo per il primo giorno di discesa.
Riusciamo comunque a costruire un ottimo campo in zona aperta ricca di legna e ad accendere un fantastico fuoco ristoratore.
Il giorno seguente la sveglia è alle ore 5.30, nella speranza di essere in marcia per le ore 7, speranza disattesa, ci rendiamo conto di essere molto lenti nelle fasi di preparazione e chiusura del campo, alcuni più di altri, ciò ci permette di partire solo alle ore 8, per fortuna il giorno precedente avevo provveduto ad armare la prima calata così un po’ di tempo è stato recuperato!
L’ambiente che ci circonda durante tutto il secondo giorno di discesa è molto più vario rispetto a quello del giorno precedente! Un susseguirsi di ambienti stretti intervallati da alcuni tratti di marcia, sempre in ambiente maestoso, la forra si sta chiudendo, dico tra me e me, felice , ma sicuramente un po’ preoccupato dal fatto che la portata è comunque importante e molto variabile tra il mattino e il pomeriggio, infatti durante il tardo pomeriggio valuto che ci possa essere una portata quasi doppia rispetto a quella del mattino presto, non sarebbe un grosso problema se la portata iniziale non fosse un ipotetico 150 lt sec, altro fattore da tenere sotto occhi sono gli affluenti grandi e piccoli che si immettono nel Chamje oltre agli innumerevoli stillicidi che poco fanno quando non sono così tanti!!!
Durante questa giornata sono da citare sicuramente due passaggi molto interessanti , uno il passaggio in grotta, grotta costituita da alcuni massi ciclopici incastrati che formano un suggestivo passaggio ipogeo dove l’acqua si frange a formare una pioggia continua seguita da uno stretto passaggio dove tutta la forza dell’acqua viene convogliata in un corridoio non più largo di un mt con pozza di ricezione allungata turbolenta e ciliegina sulla torta un bel masso semi affiorante che genera un bel sifone….. Per questo passaggio ho deciso di allestire una calata con 3 deviatori per bypassare tutto questo casino!
Il secondo passaggio è una cascata che parte come un toboga poco verticale per poi saltare direttamente in una pozza dove il torrente cambia decisamente direzione e forma dei movimenti in pozza molto interessanti.
Obbiettivo imprescindibile del giorno è raggiungere l’inizio della vera e propria parte stretta del percorso, raggiungiamo questo punto alle ore 16,30 con un giorno di ritardo sulla tabella di marcia.
Il giorno seguente ci aspetta la parte più tecnica del torrente, la parte inforrata, per la terza giornata decido di piazzare in pole position il team Italiano al completo e quindi anche Jari, che fino ad allora era rimasto nella parte finale del gruppo, si unisce a me e Roberto che, per il terzo giorno consecutivo, ci occuperemo di armare ed attrezzare la discesa.
Questa parte è veramente fantastica! Pareti altissime una vera forra serpeggiante, acquatica ed intensa, bella bella bella, mi ripeterò ma bella! Ora le cose si fanno davvero interessanti! Un percorso tecnico ma mai estremo, a mio avviso, decidere dove mettere gli ancoraggi è importantissimo per non dover combattere, o almeno doverci combattere il meno possibile, con il flusso dell’acqua che ora è piuttosto imponente e difficilmente gestibile se preso tutto concentrato! Per fortuna gli ambienti consentono linee di calata morbide mai estreme.
Il trio Italiano macina bene, 5 ore intense che ci permettono di armare e attrezzare una ventina di calate e di raggiungere il famigerato Black Hole alle ore 14:15.
Osservo bene il passaggio, purtroppo dall’alto è impossibile vedere dove finisce la cascata, è ben chiaro che l’ambiente sottostante è molto stretto ed inforrato, l’acqua si divide in due getti dove quello di sinistra prende 80% del flusso lasciando a destra la rimanente parte, i due flussi saltano staccandosi dalla parete e incrociandosi. La parete di destra ha una roccia migliore più liscia e compatta rispetto a quella di sinistra più frastagliata e stratificata, decido di installare due piastrine come partenza della calata o del traverso…..non so ancora cosa combinerò…. sembra che sia possibile infilarsi dietro la cascate evitando così il grande flusso, sembra una buona idea , ma resta l’incognita! Poi sotto sarà possibile uscire dal dietro cascata? Decido quindi di attrezzare un lungo traverso che mi consentirà di avere una visione migliore di quello che c’è sotto e nel caso di potermi calare senza essere “disturbato” dalla cascata. Alla fine, monto 5 punti intermedi e un armo esposto, totale 1,5 ore di lavoro, Roberto, che manovrava la corda sulla quale mi stavo muovendo per creare il traverso, era oramai un ghiacciolo. Finalmente, sporgendomi abbastanza, riesco a vedere cosa cavolo c’è sotto! Un passaggio tecnico ma non impossibile seguito da una strettoia di cui ho potuto solo avere parvenza perché nascosta da una stretta curva.
Posso dire che dei 9 componenti della squadra solo un altro si è affacciato sul traverso a vedere tale passaggio, nonostante ciò la maggioranza ha deciso che era tardi (15:45 con ancora 3 ore di luce) e che sarebbe stato meglio arrampicarsi come scimmie su per il pendio della montagna, friabile ed instabile, per cercare un luogo consono a montare il campo, circa 100 mt di dislivello su corde fisse ed improbabili cenge per raggiungere dopo 3 ore il letto di un piccolo affluente detritico…. ottimo punto per installare un campo, comodo e agevole…..
Le discussioni per una scelta del genere sono state lunghe e si sono protratte fino a tarda notte, in completo disaccordo con la scelta fatta me ne vado a letto convinto che il giorno seguente si sarebbe continuato nella discesa ed invece no!!! La maggioranza decide che è meglio continuare per cenge erbose ed improbabili e traversi tra gli alberi piuttosto che proseguire in torrente….. Rimango basito, attonito, incredulo, sconcertato, senza parole!!! Non posso credere che proseguiremo per boschi! È una scelta allucinante ed alienante!!!! Mi bazzica pure l’idea di proseguire da solo per il torrente poi rinsavisco un attimo e capisco che sarebbe semplicemente un suicidio! Non ho altra scelta che seguire come uno zombi la carovana degli arboristi boscaioli, solo parole grame escono dalla mia bocca, non avrei mai pensato di inserire un giorno di trekking in mezzo a 5 giorni di canyon……
In due parola: assolutamente imbarazzante!!!
Non mi reputo un super eroe, so bene valutare se un passaggio è impraticabile o ” solo ” molto tecnico, se reputo un passaggio impraticabile o sono solo nel dubbio sono il primo a studia un piano alternativo per superare l’ostacolo, anche perchè in questo caso specifico sarebbe toccato a me scendere per primo per aprire il passaggio e di certo non sono un kamikaze!!
Dopo 5 ore e più di boscaglia riguadagniamo il fondovalle in un tratto piuttosto aperto, per nulla motivato mi rinfilo la muta e riparto, attrezzo solo 3 calate prima di giungere al campo di oggi complice anche un passaggio semi sifonante che mi costringe ad installare un traverso con 5 punti intermedi per evitare la pozza turbolenta bloccata da un grosso masso.
Il campo di oggi è situato nei pressi di un grosso faraglione che simula la faccia di un gigante di pietra, soprannominiamo il campo con il nome Campo Avatar.
Il giorno seguente sono determinato a raggiungere il rescue point, punto di sforro che determina la immaginaria segmentazione del Chamje Khola in due segmenti (alto e basso) in realtà non esiste una vera propria traccia per uscire dalla forra , ma solo un…a di là non è male si riesce a passare.
La giornata è lunga, partiamo con l’attrezzare la calata da 40 mt baypassata dal Team Francese ed anche da qualche elemento della nostra squadra, per continuare nella forra e raggiungere la calata più alta data per 70mt ma che in realta è massimo 50. Sono costretto ad attrezzarla con un lungo travesto, i totale 7 punti intermedi, per evitare il forte flusso, nella pozza di ricezione vi sono onde alte 30 cm e un vento nebulizzato molto pungente.
Fortunatamente il tratto successivo è caratterizzato da una sequenza di tuffi , max 7 mt, che velocizzano la progressione, entriamo infine nella terza parte bypassata dal team Francese che inizia con due calate 30 + 30 mt la prima attrezzata completamente all’asciutto in riva destra la seconda con un bel deviatore in riva sinistra.
L’ora è tarda ed infatti raggiungiamo l’ultima cascata alta, circa 35 mt, all’imbrunire, alcuni elementi del team cominciano a dire che sarebbe meglio fermarsi e fare campo, io guardo sul mio altimetro… mancano 80 mt di dislivello al rescue point, 35 li ho sotto i piedi quindi non manca molto, mi consulto con Roberto e Jari e decidiamo che a prescindere da quello che il gruppo avrebbe deciso noi 3 avremo comunque continuato nonostante l’oscurità fino alla vicinissima meta!
Il gruppo prende coraggio e si continua! Altra calata con deviatore, stringo l’ultimo bullone alla luce della mia frontale, si continua ci aspetta un tratto sub-orizzontale caratterizzato da grossi massi che rendono arduo individuare quale sia il giusto passaggio, situazione peggiorata ovviamente dall’oscurità, alla fine installo altri 3 armi singoli per superare in sicurezza piccoli dislivelli e poi come un miraggio vedo le luci della squadra di portatori, vedo il fuoco acceso vedo la fine di questa odissea!
Facciamo qualche numero: sono stati utilizzati 140 fix più oltre 40 ancoraggi naturali, possiamo sicuramente affermare che il team Italiano ha lasciato la sua impronta nel Chamje Khola, 5 giorni di lavoro instancabile, personalmente mi sono occupato dell’istallazione di tutti gli ancoraggi dovendo anche poi aprire da primo tutti i passaggi compresi quelli più tecnici, ringrazio in primis Roberto che è stato un aiuto insostituibile in tutte le fasi della discesa e che si è occupato di installare e gestire la grossa maggioranza delle corde, ringrazio anche Jari che è stato sicuramente un tassello fondamentale nel team di sfondamento una sicurezza in più quando la forra si è stretta e i giochi si sono fatti duri sul serio! Ringrazio tutto il restante team che si è sobbarcato gli zaini con tutto il materiale per la discesa e i campi.
CONCLUSIONI: Chi mi conosce sa bene che non sono assolutamente il tipo che riesce a frenarsi dal dire le cose come stanno, dal mio punto di vista ovviamente……quindi come stanno le cose?
Vari sono stati i problemi e le difficoltà, prima fra tutte la differenza di lingua, basti pensare che tra 9 persone 4 nazioni: Italia, Repubblica Ceca, Russia e Ucraina, 9 persone che comunicano in Inglese non sempre con cognizione di causa.
Differenti abitudini, estrazioni, esperienze, tecniche e idee, un minestrone di tutto, forse troppo.
La problematica più grande, a mio avviso, è stata il fatto che la grossa maggioranza del gruppo avesse una grande preparazione speleologica e meno torrentistica. Basti pensare che alcuni dei componenti del team avevano al loro attivo solo 12 canyon…… e qui la domanda sorge spontanea:” Ma sei io prima di decidere di affrontare questa avventura mi sono fatto delle domande e ho dovuto fugare dei dubbi avendo al mio attivo oltre 1300 canyon in 4 continenti” che domande ci si fanno con solo 12 forre all’attivo? E soprattutto che risposte ci si dà?
Ho scoperto questa bella notizia solo a campo 3, quindi già in forra, se avessi saputo prima questo “piccolo” particolare probabilmente anzi sicuramente mi sarei ben visto dall’unirmi al gruppo! Idem i miei compatrioti.
Avevo espresso, al capo spedizione, grosse perplessità riguardo questo argomento, il basso livello tecnico, già nei primi giorni di spedizioni, quando siamo riusciti ad uscire di notte in un torrente con sole 8 calate, ma mi era stato assicurato che le diverse esperienze ed attitudini dei componenti della squadra sarebbero state il punto di forza del team nel momento in cui il gioco si fosse fatto serio…. bene…quando il gioco si è fatto serio ho solo visto gente che si arrampicava e aggirava per boschi l’ostacolo, a quanto pare il mio pensiero era stato lungimirante.
Mi dispiace essere così critico, ma sono le stesse rimostranze che ho espresso più volte durante tutta la spedizione e non ci si può certo illudere ora che il mio pensiero a riguardo muti magicamente nascondendo sotto il tappeto quanto successo!
Posso dare con certezza una grande verità, Il torrentismo e la speleologia sono due sport molto diversi, con tecniche molto differenti e con prerogative assolutamente distanti, un forte speleologo non è per assodato un forte torrentista e viceversa ovviamente, L’esperienza di fiume non può essere sostituita da poche nozioni part time e dalla auto convinzione che dato che si è abituati a resistere per lungo tempo in ambienti ipogei ciò sarà sufficiente ad essere adatti a forre acquatiche , tecniche, e impegnative come il Chamje Khola!
Concludo ringraziando tutti coloro che hanno partecipato, aiutato , collaborato, direttamente e indirettamente a questa spedizione rendendola possibile, ogni uno di noi è stato un tassello fondamentale per la realizzazione di questa grande avventura, nessuno è indispensabile o insostituibile, ma tutti sono stati necessari per realizzare questo grande progetto.
Nonostante tutto non posso negare che la compagnia e la simpatia dei partecipanti hanno reso meno pesanti i lunghi giorni di sforzo e fatica, non posso che ringraziare tutti per l’impegno e l’entusiasmo profusi in questo progetto. Personalmente sono tornato a casa con una grande lezione di vita e questo è già molto, quindi un grazie di cuore a tutti.
ENGLISH VERSION
Back in Italy a few days ago, many people have asked me about the recently completed Nepalese expedition and how it went.
How did it go? Good question … let’s say well, but the words are nothing to describe 24 days spent in Nepal, 24 days of shipping, effort and commitment to carry out a great project.
Initially I had thought about writing a real travel diary, but writing it now would make little sense and I would risk bothering readers with superfluous information, so I will just summarize the summary by trying to recount only the salient features of the expedition.
I arrived with Jari in Nepal on 3 February and after collecting our luggage we went to the randevu point, an hotel that I would call essential and very cheap, where almost all members of the expedition were waiting for us.
The following day we recover the material arrived with the cargo and we prepare for the transfer to our destination!
The following day we are ready for the transfer to what I would call the Base Camp, Jagat. A village of about twenty houses perched on the Anapurna Trail, trekking that allow you to wander around one of the 8 8000mt found in Nepal.
The journey is long, tortuous and I would say quite uncomfortable, about 5 hours by bus followed by 3 hours of jeep on a bumpy dirt road, until the arrival that, after a day like this, looks like a mirage!
The Hotel Nord Face welcomes us in a colorful and friendly architectural mix interesting, the rooms are very Spartan without even the space where to cram all our personal material.
The following day we opened the luggage and backpacks arrived with the cargo to check and to make sure that everything is arrived and that everything is working. Unfortunately we realize that one of the bags has been opened, missing: some anchors, some packs of freeze-dried food and 2 radios.
In the following days to stretch our legs and acclimatize a bit ‘to Nepalese air we decide to descend 3 gorges that are located near the base camp.
Let’s start with the Sianghe, done by me already in 2011 during the RIC, where the verticality is predominant both on the approach path (all stairs) and during the descent, this gorge is distinguished by its two big vertical: 110 and 90 meters that raise the dipstick of a fairly open and not too technical path.
The following day we engage with the descent of the Riandu, gorge decidedly less technical, with a range lower than that of Sianghe, but decidedly more sunken with interesting landscapes.
After a day of rest we decide to go down the lower Jaghat. After a first attempt to go failed, due to the wrong assessment of the material needed to arm a 7-hour gorge (it was decided to bring only 15 anchors ….). This “defiance” has suggested that we review the assignments of the tasks within the team and have the materials prepared for someone with more experience.
The next day we try again and we can finally enter! We meet the first real gorge! A beautiful recessed, aquatic and technical course, a nice gym in view of what we will have to face. The Jaghat Khola is just a beautiful stream with wonderful passages unfortunately interspersed with 2 landslides that break the continuity of the gorge. During this journey you can meet some noteworthy passages such as the beautiful 90-meter waterfall that conveys all the flow in a 10-meter toboggan where you are, if you are not careful, invested by the power of water. Another passage worthy of mention is the sequence placed almost at the end of the stream 25 5 25 meters with 2 hanging pools really intense and sometimes quite technical.
Ok we are ready for the great adventure we say softly, but the weather changes from the beautiful days of the first days passes to a variable weather that does not bring rain, but that masks the peaks that surround us and that we keep observed because they are at the same height of the transverse exposed to 4200mt, mandatory passage to enter Chamje Khola. We remain in standby for a few days waiting for the right window of good weather that allows us to pass the Col di Tallera at 4250 meters above sea level.
The right day is February 16 and we decide to go, we put all our equipment on the jeep and we move to the small village of Tal (45 minutes) where, after meet the group of 14 carriers, which will help us to bring up everything necessary for the descent, and a good breakfast starts! Objective of the day field 1 to 3050 mt (about 1300 mt of active difference in height), we took about 4 hours to reach it.
The next day we expect another 1200 meters of altitude gain and 800 of descent to reach camp 2 which is also the departure of the torrential part of our long journey. But I gladly take a step back and spend two words on the trek. Personally I had never been 4250 meters high starting with my legs of 1600 meters, I went on the Monte Bianco by cable car, but it is definitely not the same thing! I tell the truth that up to 3600 meters I have not suffered much, but after the lack of oxygen, for someone who is used to living at 180 meters above sea level on the shores of Lake Como, it is felt! Nothing dramatic shortness of breath and definitely more breaks than usual, I’m not saying that I arrived on crawling, I just say that the last ramp my legs have suffered enough!
We were lucky enough to find almost zero snow on Col Di Tallera and this has helped us a lot! The infamous traverse is actually a very narrow track that many ups and downs cross the side of the mountain, the slope below is almost vertical and I think very difficult if not impossible to stop the fall in case of a misstep, the attention in that stretch must be maximum and eyes fixed on where you are going to put your feet. We have crossed this part of approach wrapped in the clouds and then we could only enjoy the short traits of the phantasmagoric landscape that you can enjoy from up there. In such environments you feel small, you have the idea of being over 4000 meters but the mountains that surround you (Manasli and Anapurna) rise to another 4000 meters of altitude and then think … .but wow ….
We arrive at camp 2 around 16.30, a good time to mount the field, shame that a few moments after arriving begin to snow …. we assemble the curtains in a hurry, in less than an hour the whole camp is prepared including fire.
The following day, despite the early alarm clock, the first group fails to leave before 11 am, during the night 10 cm of snow fell and this has destabilized a bit ‘good intentions of a quick start.
The first group is composed by me by Roberto Nardoni, our task is to install the anchors and place the ropes on the first jumps so as to facilitate the passage of the rest of the group. As we proceed we are supplied with new strings by the members of the group that follow us in a sort of procession where those who are responsible for installing the ropes, as well as anchorage, and who is in the queue is responsible for recovering and bagging them for then send them to the “head” of this long imaginary caterpillar.
This technique has never convince me very much, but considering the strengths and experiences of the components was the best choice if not the only one possible for a fast and safe progression.
The first section of the stream is open and wooded, not very vertical and very discontinuous with many long stretches of gear that have lengthened the group very slow and complicit the late departure we forced a stop for the night in the area of the river very far from what would have been our goal for the first day of descent.
However, we manage to build an excellent field in the open area full of wood and to light a fantastic restorative fire.
The following day the alarm is at 5:30 am, hoping to be ready at 7, hope disregarded, we realize that we are very slow in the preparation and closing of the camp, some more than others, this allows us to leave only at 8 o’clock, fortunately the day before I had armed the first drop so some time was recovered!
The environment that surrounds us throughout the second day of descent is much more varied than the previous day! A succession of tight spaces interspersed with some stretches of gear, always in a majestic environment, the gorge is closing,iI tell myself, i’m happy, but certainly a little ‘worried by the fact that the water flow is still important and very variable between the in the morning and the afternoon, in fact during the late afternoon I estimate that there can be almost double water than in the early morning, it would not be a big problem if the initial range was not a hypothetical 150 lt, another factor to keep under eye the large and small tributaries that enter the Chamje in addition to the countless oozing that do nothing when they are not so many!
During this day there are certainly two very interesting passages, one the passage in cave, cave consisting of some interlocking cyclopic boulders that form a suggestive hypogeum passage where the water fringes to form a continuous rain followed by a narrow passage where the whole the strength of the water is conveyed into a corridor no more than a meter wide with a turbulent stretched receiving pool and a beautiful semi-outcropping boulder that generates a nice siphon … .. For this passage I decided to set up a descent with 3 diverters for bypass all this mess!
The second passage is a waterfall that starts as a little vertical slide and then jump directly into a pool where the stream definitely changes direction and shape of the movements in the pool very interesting.
The essential goal of the day is to reach the beginning of the real narrow part of the path, we reach this point at 4.30 pm with a day’s delay on the roadmap.
The following day the most technical part of the torrent awaits us, the narrowest part, for the third day I decide to place in pole position the Italian team and therefore also Jari, who until then had remained in the final part of the group, joins to me and Roberto who, for the third day in a row, we will deal with arming and equipping the descent.
This part is really fantastic! High walls a true meandering ravine, aquatic and intense, beautiful, I will repeat but beautiful! Now things get really interesting! A technical path but never extreme, in my opinion, deciding where to place the anchors is very important for not having to fight, or at least have to fight as little as possible, with the flow of water that is now quite impressive and difficult to manage if taken all concentrated! Fortunately, the environments allow soft down lines never extreme.
The Italian trio grinds well, 5 hours intense that allow us to arm and equip a series of drops and reach the infamous Black Hole at 14:15.
I observe the passage well, unfortunately from above it is impossible to see where the waterfall ends, it is clear that the underlying environment is very narrow, the water is divided into two lines where the left one takes 80% of the flow leaving the remaining part is right, the two flows jump off the wall and cross each other. The right wall has a better rock smoother and more compact than the left more jagged and stratified, I decide to install two anchorage as the start of the descent or traverse … .. I do not know yet what I will combine …. it seems that it is possible to descend behind the falls thus avoiding the great flow, it seems a good idea, but the unknown remains! It will be possible to exit the back waterfall? So I decide to equip a long traverse that will allow me to have a better view of what is below and in the case of being able to drop without being “disturbed” by the waterfall. At the end, I put 5 intermediate points and an exposed rig, total 1.5 hours of work, Roberto, who maneuvered the rope on which I was moving to create the cross, was now an ice lolly. Finally, leaning forward enough, I can see what the hell is underneath! A technical but not impossible step followed by a narrow pass which I could only have the appearance of because it was hidden by a narrow curve.
I can say that of the 9 members of the team only another one has faced the traverse to see this passage, despite what the majority decided it was late (15:45 with still 3 hours of light) and that it would be better to climb like monkeys on for the slope of the mountain, crumbly and unstable, to look for a suitable place to put the field for the night, about 100 meters in altitude on fixed ropes and unlikely ledges to reach after 3 hours the bed of a small detrital stream …. excellent point to install a field, comfortable and easy …..
The discussions for such a choice were long and lasted until late at night, in complete disagreement with the choice made I go to bed convinced that the next day would continue in the descent and no! The majority decides that it is better to continue for grassy and improbable ledges in the trees rather than continue in the stream … .. I remain stunned, astonished, incredulous, bewildered, speechless !!! I can not believe we will continue through the woods! It is a hallucinating and alienating choice !!!! I haunt the idea of continuing alone to the stream then I regress a moment and I understand that it would simply be a suicide! I have no choice and follow as a zombie the caravan of arborists woodcutters, only granny words come out of my mouth, I never thought of including a day of hiking in the middle of 5 days of canyon ……
In two words: absolutely embarrassing !!!
I do not consider myself a super hero, I know very well if a passage is impractical or “only” very technical, if I consider an impracticable passage, or i’m only in doubt, I am the first to study an alternative plan to overcome the obstacle, also because in this specific case it would be up to me to go down first to open the passage and certainly I’m not a kamikaze !!
After 5 hours and more of thicket to regain the valley floor in a rather open stretch, not motivated I put the dry-suit and restart, only 3 descend down before reaching the field today also accomplice a semi-siphoning passage that forces me to install a traverse with 5 intermediate points to avoid the turbulent puddle blocked by a large boulder.
Today’s camp is located near a large stack that simulates the face of a stone giant, we nicknamed the field with the name Avatar Field.
The following day I am determined to reach the rescue point, which determines the imaginary segmentation of the Chamje Khola into two segments (high and low) in reality there is no real track to get out of the gorge, but it is possible to quit.
The day is long, we start with the rigging of the 40m drop bypassed by the French Team and also by some element of our team, to continue in the gorge and reach the highest descent given for 70mt but that is actually maximum 50. forced to equip it with a long traverse, the total 7 intermediate points, to avoid the strong flow, in the pool of reception there are 30 cm high waves and a very pungent nebulized wind.
Fortunately, the next stretch is characterized by a sequence of dives, max 7 meters, which speed up the progression, we finally enter the third part bypassed by the French team that begins with two 30 + 30 meters drops the first fully equipped on the dry right bank the second with a beautiful diverter on the left bank.
The hour is late and in fact we reach the last high waterfall, about 35 meters, at dusk, some elements of the team begin to say that it would be better to stop and make camp, I look at my altimeter … 80 meters in altitude are missing at the rescue point, 35 are under my feet so I do not miss much, I consult with Roberto and Jari and we decide that regardless of what the group would have decided us 3 we will have continued in spite of the darkness until the very close!
The group takes courage and continues! Another fall with diverter, I tighten the last bolt with my frontlight, we continue waiting for a sub-horizontal stretch characterized by large boulders that make it difficult to identify which is the right passage, situation got worse from the darkness, eventually installed other 3 single anchorage points to safely overcome small gradients and then as a mirage I see the lights of the carrier team, I see the fire lit I see the end of this odyssey!
Let’s make a few numbers: 140 fixes have been used more than 40 natural anchorages, we can certainly say that the Italian team has left its mark in the Chamje Khola, 5 days of tireless work, personally I took care of the installation of all anchors also having then open first all the steps including the most technical,
I thank Roberto first of all that he was an irreplaceable help in all the phases of the descent and he took care of installing and managing the great majority of the ropes, I also thank Jari, which was definitely a fundamental piece in the breakthrough team, an extra safety when the gorge was tight and the games got really tough! I thank all the rest of the team that has carried the backpacks with all the material for the descent and the fields.
CONCLUSIONS: Anyone who knows me is well aware that I am absolutely not the type who can stop himself from saying things as they are, from my point of view of course …… so how are things?
There had various problems and difficulties, first of all the difference in language, just think that among 9 people 4 nations: Italy, Czech Republic, Russia and Ukraine, 9 people who communicate in English not always with full knowledge of the facts.
Different habits, extractions, experiences, techniques and ideas, a soup of everything, perhaps too much.
The biggest problem, in my opinion, was the fact that the large majority of the group had a great speleological preparation and less torrentistic, some of the members of the team had only 12 canyons active … and here the question arises: “I asked myself questions about the project and I had to dispel doubts by having to credit for over 1300 canyons on 4 continents “what questions should have a person with only 12 gorges? And above all, what answers do we give ourselves?
I discovered this good news only in camp 3, then already in the gorge, if I had known this “small” particular before probably, certainly, certainly, I would have seen well to join the group! The same goes for my compatriots.
I had expressed to the leader, big doubts about this subject, the low technical level, already in the first days of expeditions, when we managed to get out at night in a stream with only 8 drops, but I was assured that the different experiences and attitudes of the team members would have been the strong point of the team when the game became serious …. well … when the game became serious, I only saw people climbing up and going around the obstacle in the woods, apparently my thinking had been far-sighted.
I am sorry to be so critical, but they are the same grievances that I have expressed several times throughout the expedition and certainly can not be fooled now that my thoughts about it magically mute hiding under the carpet what happened!
I can give with certainty a great truth, The torrentism and the caving are two very different sports, with very different techniques and with absolutely distant prerogatives, a strong speleologist is not for sure a strong canyoner and vice versa of course, the river experience can not be replaced by a few part time notions and by self-belief that since you are used to resisting hypogea for a long time this will be enough to be suitable for aquatic, technical and challenging canyons like the Chamje Khola!
I conclude by thanking all those who participated, helped, collaborated, directly and indirectly to this expedition making it possible, each one of us was a fundamental step for the realization of this great adventure, no one is indispensable or irreplaceable, but all were necessary for realize this great project.
Despite everything I can not deny that the company and the sympathy of the participants have made the long days of effort less heavy, I can only thank everyone for the commitment and enthusiasm lavished on this project. Personally I came home with a great life lesson and this is already a lot, so a big thank you to everyone.