Alla fine della Val Seriana, nel comune di Valbondione, si può ammirare la cascata del Serio che, con i suoi 315 m di caduta, risulta essere la più alta d’Italia. Maestosa, si presenta divisa in tre grandi balzi, con il primo di oltre 150 m.
Il flusso dell’acqua è controllato a monte da una diga, il cui rilascio vitale è di circa 150 litri/secondo ma che, come attrazione turistica, viene aperta alcune volte l’anno, per rilasciare vari metri cubi al secondo, generando un flusso potente e devastante, che evidenzia la grandezza della forza dell’acqua.
Ed è proprio qui che abbiamo deciso di allenarci per il progetto EWA.
Faremo quindi la prima discesa della cascata in stile torrentistico, ovvero scendendo il più vicino possibile alla linea dell’acqua, immersi nel suo fragore.
Decidiamo di non fare prospezione prima della discesa, al fine di verificare la nostra capacità di reazione alle difficoltà e agli imprevisti che potremmo trovare sulle altre 12 grandi verticali sparse per il mondo.
L’appuntamento è il 3 di settembre presso il campeggio di Valbondione, dove pianifichiamo la tecnica di progressione e prepariamo i materiali che ci serviranno ad armare la cascata.
La squadra è composta da 8 uomini e 1 donna: 6 tecnici e 3 operatori video e foto.
La mattina del 4 partiamo presto: l’avvicinamento alla sommità della cascata è lungo, circa 3 ore.
Si sale fino al rifugio Curò usando il lungo e ripido sentiero (6.5 km per 950 m di dislivello) da cui si gode la spettacolare visione della cascata che, data l’ora, risulta colorata dall’arcobaleno.
Da qui si seguono le indicazioni per il rifugio Coca fino a scendere alla base della seconda diga, da dove ha origine il nostro percorso.
Vi arriviamo verso le 11 e, una volta preparata l’attrezzatura personale e organizzati gli zaini per la discesa, ci affacciamo sul ciglio del grande salto: è subito chiaro che non sarà un gioco da ragazzi!
Dopotutto siamo qui per allenarci, studiare e sviluppare nuove tecniche di progressione su grandi verticali.
La parete sinistra della cascata si presenta strapiombante, mentre su quella destra si infrange il grosso del flusso della cascata.
Scendere in riva sinistra vuol dire o scendere nel vuoto, e probabilmente trovarsi troppo lontano dalla parete per installare gli ancoraggi successivi, o installare molti ancoraggi lungo il tetto dello strapiombo, utilizzando troppo tempo e materiale.
Scendere in riva destra vuol dire installare parecchi deviatori per spostarsi dal potente e freddo getto: sono pur sempre 150 kg d’acqua al secondo che si muovono fra le rocce cadendo per oltre 300 m.
Dopo un po’ di titubanza, decidiamo di affrontare la discesa in riva destra orografica e Massimo inizia ad installare il primo ancoraggio di partenza, per poi cedere il testimone ad Andrea per le calate successive.
La parete è ricca di asperità taglienti e la roccia risulta scivolosa, rendendo arduo il nostro compito e costringendoci a mettere in campo tutte le nostre abilità e tutte le tecniche a nostra disposizione per trovare la linea più giusta e più sicura.
Il susseguirsi delle calate ci permette di scendere e, grazie all’installazione di deviatori e al loro utilizzo, riusciamo a spostarci, cercando di rimanere vicini al getto senza bagnarci, ma, i vortici del vento, ci fanno investire da poderosi scrosci d’acqua.
Continuiamo a scendere avvolti da effimeri arcobaleni e, anche se è fine estate e la temperatura dell’aria è buona, il continuo interagire con l’acqua abbassa la nostra temperatura corporea, fiaccando velocemente i nostri fisici: dobbiamo continuare lavorando il più velocemente possibile, ma sempre nel modo più sicuro.
Quando giungiamo alla base del primo grande salto è tardi e, pur avendo disceso “solo” 150 m di dislivello, ci rendiamo conto che la complessità e la morfologia della roccia ci hanno dato molto filo da torcere, ed è chiaro che non riusciremo ad ultimare la discesa con la luce del sole.
Continuiamo ad installare ancoraggi sul secondo e poi sul terzo tratto di cascata, dove le verticali sono più basse e l’interazione con l’acqua è meno devastante.
Procediamo molto più velocemente fin dopo il tramonto, quindi accendiamo le nostre torce frontali e rallentiamo la progressione: nonostante la potenza delle nostre luci, bisogna fare molta attenzione alle insidie di un ambiente montano, rese più pericolose se avvolte dall’oscurità.
Finalmente verso le 22 raggiungiamo la base della cascata, tutti incolumi e molto soddisfatti di noi stessi: ce l’abbiamo fatta!
Da questa esperienza portiamo a casa tante informazioni e nuovi dati da utilizzare per le future grandi avventure verticali che ci aspettano nei prossimi mesi in giro per il mondo.
Il progetto EWA procede a vele spiegate e il team, sempre più compatto, migliora: come si suole dire “l’esercizio rende perfetti” e, anche se non perfetti, siamo sicuramente un gradino più vicino all’obiettivo.
I componenti del team: Andrea Forni, Elena Sartori, Massimo Todari, Francesco Taddei, Lorenzo Rossato, Roberto Nardoni, Carlo Marella, Giacomo Meglioli, Stefano Farolfi. Ringraziamo Sirio Bologna per il supporto esterno.